Oggi intervistiamo Michele Lanzetta, siamo lieti di accogliere un professionista che ha dedicato la sua carriera a sviluppare e promuovere la comunicazione sociale e il coaching.
Il nostro intervistato, con una vasta esperienza alle spalle, ha saputo coniugare la passione per la comunicazione con un approccio innovativo, diventando un punto di riferimento nel suo settore.
Lo ringraziamo per aver accettato questa intervista e ne approfittiamo per fare i complimenti al suo lavoro.
- Buongiorno, siamo molto felici di poterla intervistare. Per iniziare può raccontarci un po’ di sé e della sua storia?
Innanzitutto, grazie a voi e complimenti per il vostro progetto che rappresenta un elemento importante per promuovere professionalità di qualità. Trovo tantissima stima di chi crea start-up di questa capacità.
Vi confesso che nelle vesti di intervistato trovo una sorta di difficoltà, di solito come coach sono che pongo domande!
Sono un Coach professionista e imprenditore, ho 57 anni, mi considero un professionista nella Comunicazione Sociale.
Faccio parte di quella generazione in cui a suo tempo non esistevano Istituzioni accademici che potessero soddisfare in pieno il desiderio di studiare la Comunicazione Sociale e i suoi strumenti di intervento.
L’unica possibilità che hanno avuto i più fortunati della mia generazione era quello di poter viaggiare per studiare, formarsi e sperimentare sul campo. Infatti, le poche Università, solo straniere, offrivano alcuni cenni di Comunicazione Sociale, per lo più erano centrate nel Marketing.
Inoltre, desidero ricordare che nel 1989, data in cui decisi di iniziare questo percorso erano collegati ad internet circa 100.000 computer in tutto il mondo, senza considerare che in quei tempi lo si usava strettamente come strumento di comunicazione postale e non esisteva una capacità di informazioni digitalizzate come oggi.
Mi ricordo ancora oggi il primo testo che lessi fu La Comunicazione Sociale di Giorgio Braga Edizioni RAI Radiotelevisione Italiana.
Un testo che oggi è difficile da trovare.
Con un pizzico di orgoglio e di romanticismo mi posso considerare uno dei tanti pionieri nello sviluppare metodologie e strumenti di intervento nella Comunicazione Sociale, lo confermano anche le due tesi incentrate sulla metodologia da me ideata.
- Paulo Freire è stato una fonte di ispirazione per la sua carriera. In che modo gli studi sul suo lavoro hanno influenzato il suo approccio alla comunicazione sociale?
Ci sono tante definizioni di Comunicazione Sociale, ancora oggi se ne discute, su questo aspetto ho avuto sempre le idee chiare sin dall’inizio del mio percorso, la Comunicazione Sociale è uno strumento di crescita personale, comunitario e professionale.
Partendo da questo presupposto, feci delle ricerche per individuare una metodologia di intervento sociale basato sull’autoconsapevolezza. Decisi di concentrare la mia attenzione su tre modelli principali: Metodo Freire (1960), il Coaching moderno di Gallwey (1975) e modello G.R.O.W di Whitmore (1980 circa).
Freire, se dovessi fare una sintesi, suscitò il mio interesse per il suo approccio impostato sulla pratica dell’atto di Conoscenza e sul processo di “Coscientizzazione” in cui la persona prende progressivamente coscienza di sé. La pedagogia degli oppressi è stato uno stimolo per recarmi in America del sud per studiarla nell’atto pratico.
Ho avuto modo di confrontarmi con diverse realtà che attuavano il metodo Freire, tra questi il Teatro dell’Oppresso, ideato da Boal, ispirato dalle idee di Paulo Freire e dalla pedagogia degli oppressi. Da qui, mi venne l’idea di seguire lo stesso percorso di Boal e adattare le idee e la pedagogia degli oppressi all’audiovisivo.
- Come si è evoluta Lambda Communication nel tempo e quali sono stati i principali traguardi raggiunti dall'azienda?
Lambda Communication ha rappresentato un laboratorio non solo di crescita professionale, soprattutto personale e come in tutti i laboratori c’è stata molta ricerca per trovare le tecniche e le pratiche adeguate ad ogni situazione di intervento.
Il primo traguardo è stato quello di testare le potenzialità dell’audiovisivo prendendo spunto dalle idee di Freire. La videocamera ha rappresentato uno strumento innovativo sia come esplorazione di conoscenza che di consapevolezza di sé. Ho utilizzato la metodologia “L’audiovisivo come strumento di mediazione sociale” in diversi contesti: Favelas brasiliane, educativa di strada in contesti di emarginazione, spaccio e consumo di stupefacenti, minigang giovanili, contesti post-bellici e sfruttamento della prostituzione.
- Cosa l'ha spinta a sviluppare un nuovo approccio di lavoro basato sull'utilizzo di strumenti di Mediazione Sociale e Life Coaching?
Come sottolineato precedentemente, Freire mi ha indicato la strada e successivamente ho introdotto nuovi saperi, il Coaching moderno di Gallwey e il modello G.R.O.W di Whitmore, adattandoli alle tecniche audiovisive.
Partiamo dal presupposto che alla base della Mediazione Sociale vi è un atto di conoscenza di sé stessi e di ciò che ci circonda, gli studi e le opere di Gallwey, Whitmore e Goleman abbinate alle idee di Freire hanno dimostrato un valido supporto nella realizzazione di interventi sia comunitari che individuali.
La Mediazione Sociale a mio avviso non è solamente gestione dei conflitti, è anche uno strumento di prevenzione e di supporto nella visione futura sia comunitaria che individuale. Nella visualizzazione e costruzione del “futuro”, le tecniche di Life Coaching permettono un supporto all’individuazione e al raggiungimento degli obiettivi prefissati.
- Può descriverci alcune delle esperienze più significative che ha avuto lavorando in contesti come le Favelas brasiliane e il Kosovo?
È come entrare in altre dimensioni, isole dominate dalla povertà e dai narcotrafficanti e contesti di odio raziale che hanno generato una guerra. Sono realtà che possiamo apprendere della loro esistenza attraverso i mezzi di comunicazione. Avere la possibilità di condividere la loro esperienza attraverso racconti, emozioni, sapori e odori è già un’esperienza significativa.
In tutti e due i contesti ho lavorato con giovani tra i 16 e i 24 anni. Nelle favelas a supporto dei Peer Educator per contrastare la dispersione scolastica e la criminalità dei giovani. In Kosovo abbiamo realizzato laboratori di mediazione tra ex UCK Kossovari-albanesi e ex militari/paramilitari Kossovari-Serbi.
In tutti e due le esperienze siamo riusciti a trovare nuovi percorsi, ancora oggi il loro cammino prosegue includendo nuove energie. Tutti e due, per me rappresentano spiragli di speranza.
Sono state esperienze relazionali importanti che hanno delineato una crescita personale e professionale, non sono stato solamente un Mediatore e Coach, soprattutto colui che attraverso il dialogo è stato “educato” nell’apprendimento e nel vivere in quel contesto sociale.
- Come ha adattato i suoi metodi di coaching e mediazione sociale ai diversi contesti culturali e sociali in cui ha operato?
I laboratori erano caratterizzati da un’azione dialogica basata sulla collaborazione, lo scambio delle informazioni, l’unione, l’organizzazione e la sintesi in un intervento sociale.
Ovviamente, questa è un sunto dei processi. In sostanza, non vi era una trasmissione depositaria da parte mia “di come fare”, bensì esplorare sé stessi il mondo che ci circondava e definire gli obiettivi di miglioramento attraverso le skills individuali.
I percorsi di Coaching permettevano il passaggio da gruppo di lavoro a Team, delineare le leadership e supportare dove fosse funzionale percorsi di life coaching individuali.
Non esiste uno schema precostruito, bensì una metodologia funzionale ai diversi contesti culturali e sociali in cui si è operato.
- Quali sono le principali sfide che ha affrontato lavorando su progetti di povertà educativa e in ambito minorile?
Le principali sfide affrontate sono state la resistenza al cambiamento da parte di Istituzioni e terzo settore nel formulare nuovi interventi sociali funzionali alle necessità del territorio, senza replicare progettualità nel tempo che non prendevano in considerazione i continui cambiamenti dettati dagli eventi migratori, dalla tecnologia e dalle nuove complessità relazionali delle famiglie.
La creazione di progettualità attraverso fondi europei, nazionali e privati hanno permesso di strutturare nuove reti di intervento, ponendo la scuola al centro dell'azione e promuovendo l’associazionismo presso gli attori sociali del territorio coinvolto.
La sfida è stata quella di creare due laboratori simultanei di dialogo. Il primo composto: da Ente Locale, Forze dell’ordine, Oratori e scuola, il secondo: terzo settore, scuola e attori sociali, ponendo la scuola il polo centrale di dialogo e interconnessione tra i due laboratori.
- Come è avvenuto il passaggio dal terzo settore all'industria privata e quali competenze ha trasferito da un ambito all'altro?
Non sono stato il primo e non sarò l’ultimo a passare dalla Cooperazione Internazionale, al terzo settore per poi arrivare all’industria. La complessità della progettualità, la gestione e l’autonomia di un intervento richiedono capacità manageriali importanti. Inoltre, il terzo settore strutturato può essere paragonato per la sua organizzazione ad una vera e propria azienda profit.
Confesso che il passaggio all’industria è stato semplice e con meno complessità rispetto al terzo settore. Nel tempo mi specializzai in ristrutturazione aziendale e sviluppo delle start-up.
Le principali competenze che ho trasferito sono state: Ascolto, collaborazione e gestione delle leadership.
- That’s Coaching offre un'ampia gamma di servizi di coaching. Può illustrarceli e fornirci maggiori informazioni sul suo core business.
Innanzitutto, That’s Coaching è strutturata per garantire un supporto tailor-made per le esigenze di ogni cliente. Il cliente può usufruire di una consulenza gratuita nel massimo rispetto della privacy per individuare il professionista o il team più adatto a garantire il supporto richiesto.
La gamma dei servizi di coaching è di ampio respiro ed è indirizzato alle seguenti attività:
- Life Coaching;
- Business Coaching;
- Sport Coaching;
- Executive Coaching;
- Corporate Coaching;
- Personal Branding Coaching.
Nella proposta dei servizi vi sono anche formazioni dedicate ad aziende, istituzioni ed istituti scolastici, in quest’ultimo caso sia a docenti che a studenti con la possibilità di creare dei pacchetti ad hoc di life coaching per studenti.
- Può parlarci dell'importanza di avere Coach professionisti iscritti all'ICF e di come ciò influisce sulla qualità dei servizi offerti?
ICF è la più numerosa associazione professionale di coach a livello internazionale, presente in più di 140 paesi nel mondo con oltre 50.000 membri all’attivo. È iscritta nell’elenco del Ministero dello Sviluppo Economico tra le associazioni professionali che rilasciano attestato di qualità. Ogni iscritto promuove il Codice Etico ICF e garantisce i più alti standard di coaching professionale, grazie anche ai continui aggiornamenti resi possibili dall’associazione.
Essere supportati da un coach iscritto ad ICF, garantisce alta professionalità e qualità nel supportare i clienti. Non tutti si possono iscrivere ad ICF, c’è un percorso di studi e infine un esame che attesta la preparazione e la qualità del coaching.
Inoltre, That’s Coaching oltre alla garanzia di qualità, garantisce professionisti con indirizzi ben precisi per un supporto mirato alla persona e alle aziende.
- Quali sono i suoi obiettivi futuri per That’s Coaching e come intende continuare a innovare nel campo del coaching e della comunicazione sociale?
That’s Coaching ha creato importanti relazioni di corporate con scuole di coaching di alta qualità per garantire un’offerta formativa e progettuale in linea con le esigenze dei clienti.
Tra le offerte formative stiamo preparando un programma dedicato alle scuole superiori con moduli formativi dedicati all’Intelligenza Emotiva, all’esplorazione delle soft skills e pacchetti di life coaching ideaste per supportare i giovani. Possiamo considerare quest’ultima come un contributo del Coaching alla Comunicazione Sociale.
Leggi anche la biografia di Michele Lanzetta, e scopri i suoi servizi e contatti.